“Volevo vivere ma non facevo altro che morire. Durante la seconda media cominciai a tagliarmi. Non mi tagliavo spesso… solo quando non riuscivo a controllarmi. La terza media fu un disastro e cominciai a tagliarmi sulle gambe, sempre, ogni giorno. Era l’unico modo per far sparire il dolore che mi logorava dentro” (tratto da un video su youtube).
L’autolesionismo è una mappa fisica di un dolore interiore che non si è capaci di gestire.
Sempre più ragazzi usano tagli (cutting) o bruciature (burning) o lividi ed escoriazioni per trovare sollievo da un dolore psichico, da una sofferenza emotiva che appare insostenibile.
Con il comportamento autolesionista l’attenzione passa dal dolore mentale al dolore fisico e col farsi male la persona ha l’illusione di avere ripreso il controllo su se stessa, di avere scaricato la tensione e trovato un sollievo. Il dolore provocato da tagli ripetuti favorisce la produzione di endorfine, che svolgono una funzione anestetizzante.
Diretta conseguenza di tali gesti ripetuti è la dipendenza da essi e la ricerca di sensazioni sempre più forti. Uscirne, dunque, non è così semplice.
Il dolore fisico copre quello emotivo , almeno temporaneamente, rinchiudendo il ragazzo in un circolo vizioso che lo rende sempre più incapace di dare voce al suo dolore e trovare metodi più funzionali per alleviarlo.
L’autolesionismo non ha come fine primario quello di attirare l’attenzione, né il suicidio.
Molti ragazzi che ho ascoltato dicono che lo fanno per “sentirsi vivi”, altri perché “la rabbia era così forte che non c’era altro modo di uscire dal dolore”, oppure“Mi ferisco quando sto male, quando il mondo mi rifiuta, quando mi sento brutta…” .
Se la lesione è vissuta come anestetico per contrastare la propria sofferenza, la ferita che diventa cicatrice rappresenta un trofeo di una lunga battaglia contro se stessi .
Una delle considerazioni ricorrenti è simile a quella fatta da pazienti con DCA(disturbi del comportamento alimentare) : “mi sento almeno padrona/e del mio corpo”.
Attorno a questo comportamento c’è un atteggiamento simile a quello presente attorno alle dipendenze(specie quelle alimentari): Nessuno sa nulla, Nessuno si è mai accorto di nulla, Nessuno sospetta!
Nell’autolesionismo,spesso, è indispensabile l’aiuto di un esperto al fine di trovare strategie più mature e sane per il riconoscimento e la gestione delle emozioni, un aiuto per imparare a dare voce alle proprie emozioni in una modalità adulta e funzionale.
Se sei un genitore e ti accorgi che tuo figlio pratica l’autolesionismo non aspettare a rivolgerti ad uno psicologo. Essere giudicante, usare minacce e rabbia spesso peggiora la situazione e tuo figlio/a mentirà e si chiuderà sempre di più. Prova a farlo sentire compreso ed accolto nel suo disagio, nel suo dolore.
Se sei un ragazzo, trova un adulto con cui parlarne. Se non vuoi parlarne con i tuoi genitori cerca qualcuno di fidato(adulto) o rivolgiti agli sportelli di ascolto che sono spesso attivi nelle scuole secondarie.
Tagliarti e farti male probabilmente è l’unico modo che hai per sentirti meglio, ma esistono altri modi e potrai trovarli assieme ad uno psicologo o psicoterapeuta con il quale strutturerai strategie di Coping e Regolazione Emotiva per affrontare e superare il disagio e la sofferenza che stai provando.
Dottoressa Elena Fattorusso
Psicologa/Psicoterapeuta sistemico-relazionale