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Connessioni Sicure

di Stefania Maffeo

Si è svolto questa mattina presso l’aula consiliare Sandro Pertini del comune di Bellizzi l’interessante incontro denominato “Connessioni Sicure” nell’ambito della settimana di sensibilizzazione sul bullismo e cyberbullismo.

L’iniziativa è stata organizzata dall’istituto Comprensivo Statale di Bellizzi, diretto da Rosaria Papalino, in collaborazione con l’associazione sportello Rosa di Salerno.

Indirizzi di saluto a cura del sindaco di Bellizzi Domenico Volpe e dell’assessore alla pubblica istruzione Fabiana Siani.

Durante la mattinata di riflessione sulle importanti tematiche si sono susseguiti gli interventi della referente del progetto Giovanna Domini, dell’avvocato Gabriella Marotta e delle dottoresse Elena Fattorusso e Carolina D’Alessio.

Numerosi gli spunti emersi nel corso di una bella lezione sui valori fondanti per i ragazzi quali rispetto dell’altro e prevenzione di ogni atto di violenza e prevaricazione.

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La Pecora Nera

 Esploratrice di  Cammini di Liberazione!

Nella Tua famiglia c’è una pecora nera? Sei tu la pecora nera?

In tutte le famiglie c’è una pecora nera che spesso paga la propria “diversità” con l’esclusione emotiva !

L’esclusione è però affiancata paradossalmente dalla centralità di questa figura, in quanto è al centro di moltissime discussioni familiari.

I membri della famiglia della pecora nera sono soliti usare quest’ultima come capro espiatorio  e attribuiscono la sua diversità all’influenza di fattori esterni, quali amicizie sbagliate, fidanzati/e o addirittura ad un percorso psicoterapeutico effettuato.

In psicologia ci si riferisce a queste persone come “pazienti identificati”

e le cause che determinano la loro diversità sono dovute a complesse dinamiche familiari

Per capire il motivo per cui la famiglia e i gruppi intimi creano una pecora nera è necessario approfondire la teoria dell’identità sociale proposta dallo psicologo sociale Henri Tajfel. Questa teoria ci fa comprendere il fenomeno della discriminazione all’interno del gruppo. Partiamo col dire che tutti i gruppi ed i loro membri hanno alcuni punti in comune:

I gruppi si concentrano nelle caratteristiche negative di altri gruppi:

Quando i gruppi emettono giudizi su altri gruppi, di solito si tratta di giudizi negativi al fine d’influenzare le opinioni dei suoi membri e far percepire il proprio gruppo come “il migliore”. Si tratta di un bias(errore) cognitivo nel quale prima o poi cadiamo tutti. Per questa ragione tendiamo a dire per esempio che: la nostra squadra di calcio è la migliore, la nostra famiglia è la più felice o la nostra religione la più vera.

Il gruppo esercita grande pressione sui suoi membri:

 Il gruppo esige molto da ciascuno dei membri, esercitando una forte pressione che mira a mantenere la coesione e l’armonia interiore. Pertanto, un genitore può mostrarsi molto permissivo con i figli del vicino di casa, ma essere molto severo con i suoi.

L’effetto Pecora Nera si riferisce proprio a questa pressione e alla critica esercitata sui membri del gruppo. Infatti, il gruppo tende a valutare ognuno dei suoi membri in modo severo, massimizzando i suoi errori e applicando punizioni esemplari.

Il peso del giudizio e dell’esclusione spinge i membri del gruppo ad uniformarsi mantenendo così il gruppo unito e forte.

Si comprende così quanto risulti essere pericoloso per un gruppo la diversità di uno dei membri, e tale timore innesca meccanismi di denigrazione ed attacco che mirano a ricondurre la pecorella smarrita all’ovile.

Bert Hellinger, psicologo e studioso di pedagogia, a partire dal 1980 pone  le basi delle sue linee teoretiche e metodologiche riguardo alle Costellazioni Familiari Sistemiche, tecnica efficace che permette di agire sulla famiglia, ossia di “mettere in scena” le problematiche provenienti dalla situazione familiare. Accade, purtroppo, di frequente che sussistano delle disarmonie o degli irretimenti( legami che paralizzano il sistema) che, se non risolti,  portano in una via senza uscita che costringe a far quello che il sistema gli impone di fare: questa è la causa dell’infelicità, del disagio, dell’inquietudine, della malattia. Le Costellazioni Familiari agiscono proprio per captare le informazioni necessarie per comprendere cosa sia realmente successo e per sciogliere pesanti fardelli interiori.

Hellinger si esprime nei seguenti termini sul concetto di “pecora nera”:

“Coloro che sono chiamate “Pecore Nere” della famiglia, sono in realtà Cercatori di cammini di liberazione per l’albero genealogico.

Quei membri dell’albero che non si adattano alle norme o alle tradizioni del Sistema Familiare, coloro che fin da piccoli cercano costantemente di rivoluzionare le credenze, andando contromano ai cammini segnati dalle tradizioni familiari, quelli criticati, giudicati e anche rifiutati, loro, generalmente sono chiamati a liberare l’albero dalle storie che si ripetono e frustrano generazioni intere.

Le “Pecore Nere”, quelle che non si adattano, quelle che gridano ribellione, loro riparano, disintossicano e creano un nuovo e fiorente ramo nell’albero genealogico. Grazie a questi membri, i nostri alberi rinnovano le loro radici. La loro ribellione è terra fertile, la loro pazzia è acqua che nutre, la loro passione è fuoco che riaccende il cuore degli antenati. Irraccontabili sogni repressi, sogni non realizzati, talenti frustrati dei nostri antenati, si manifestano nella ribellione di tali pecore nere che cercano di realizzarli.

L’albero genealogico avrà la tendenza a mantenere il corso castrante e tossico del suo tronco, il quale rende difficile e conflittuale la vita di tali pecore.

Cura la tua “unicità” come il fiore più prezioso dell’albero.

Sei il sogno realizzato di tutti i tuoi antenati.”

Dottoressa Elena Fattorusso

Psicologa/Psicoterapeuta sistemico-relazionale

 

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Le mappe di un dolore senza parole

“Volevo vivere ma non facevo altro che morire. Durante la seconda media cominciai a tagliarmi. Non mi tagliavo spesso… solo quando non riuscivo a controllarmi. La terza media fu un disastro e cominciai a tagliarmi sulle gambe, sempre, ogni giorno. Era l’unico modo per far sparire il dolore che mi logorava dentro” (tratto da un video su youtube).

 

L’autolesionismo è una mappa fisica di un dolore interiore che non si è capaci di gestire.

Sempre più ragazzi usano tagli (cutting) o bruciature (burning) o lividi ed escoriazioni per trovare sollievo da un dolore psichico, da una sofferenza emotiva che appare insostenibile.

Con il comportamento autolesionista  l’attenzione  passa dal dolore mentale al dolore fisico e col farsi male la persona ha l’illusione di avere ripreso il controllo su se stessa, di avere scaricato la tensione e trovato un sollievo.  Il dolore provocato da tagli ripetuti favorisce la produzione di endorfine, che svolgono una funzione anestetizzante.

Diretta conseguenza di tali gesti ripetuti è la dipendenza da essi e la ricerca di sensazioni sempre più forti. Uscirne, dunque, non è così semplice.

Il dolore fisico copre quello emotivo , almeno temporaneamente, rinchiudendo il ragazzo in un circolo vizioso che lo rende sempre più incapace di dare voce al suo dolore e trovare metodi più funzionali per alleviarlo.

L’autolesionismo non ha come fine primario quello di attirare l’attenzione, né il suicidio.

Molti ragazzi che ho ascoltato dicono che lo fanno per “sentirsi vivi”, altri perché “la rabbia era così forte che non c’era altro modo di uscire dal dolore”, oppure“Mi ferisco quando sto male, quando il mondo mi rifiuta, quando mi sento brutta…” .

 Se la lesione è vissuta come anestetico per contrastare la propria sofferenza, la ferita che diventa  cicatrice rappresenta un trofeo di una lunga battaglia contro se stessi .

Una delle considerazioni ricorrenti è simile a quella fatta da pazienti con DCA(disturbi del comportamento alimentare) : “mi sento almeno padrona/e del mio corpo”.

Attorno a questo comportamento c’è un atteggiamento simile a quello presente attorno alle dipendenze(specie quelle alimentari): Nessuno sa nulla, Nessuno si è mai accorto di nulla, Nessuno sospetta!

Nell’autolesionismo,spesso, è indispensabile l’aiuto di un esperto al fine di trovare  strategie più mature e sane per il riconoscimento e la gestione delle emozioni, un aiuto per imparare a dare voce alle proprie emozioni in una modalità adulta e funzionale.

Se sei un genitore e ti accorgi che tuo figlio pratica l’autolesionismo non aspettare a rivolgerti ad uno psicologo. Essere giudicante, usare minacce e rabbia spesso peggiora la situazione e tuo figlio/a mentirà e si chiuderà sempre di più. Prova a farlo sentire compreso ed accolto nel suo disagio, nel suo dolore.

Se sei un ragazzo, trova un adulto con cui parlarne. Se non vuoi parlarne con i tuoi genitori cerca qualcuno di fidato(adulto) o rivolgiti agli sportelli di ascolto che sono spesso attivi nelle scuole secondarie.

Tagliarti e farti male probabilmente è l’unico modo che hai per sentirti meglio, ma esistono altri modi e potrai trovarli assieme ad uno psicologo o psicoterapeuta con il quale strutturerai strategie di Coping e Regolazione Emotiva per affrontare e superare il disagio e la sofferenza che stai provando.

Dottoressa Elena Fattorusso

Psicologa/Psicoterapeuta sistemico-relazionale

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Dal Sogno di un amore ad un Amore da sogno

Le coppie, spesso, vengono da me quando scoppia tra loro una crisi così forte che temono di perdersi, identificando il perdersi con il divorzio.

In realtà, alcune di loro si sono già perse anni prima, altre sono solo nella nebbia di una comunicazione poco chiara, altre ancora portano il peso di essere in troppe persone nella coppia, alcune non sono mai state coppia veramente e la loro storia non è ancora iniziata….

Un amore nasce lentamente o all’improvviso, esplode nel petto facendo cambiare la percezione del tempo, dello spazio, dei luoghi, delle persone.

La prima fase di un rapporto d’amore è caratterizzato da un processo di idealizzazione dell’altro, il che consente di passare dall’infatuazione iniziale ad un sentimento più profondo. In quest’arco di tempo vengono mostrati principalmente gli aspetti positivi, si indossa una maschera fatta di ciò che riteniamo piacevole e desiderabile dal partner.

L’idea che si sviluppa in questa fase è quella della completezza, la sensazione di aver trovato l’altra metà della mela.

Il partner rappresenta colui o colei da cui dipende la nostra felicità, finché non arriva il tempo della delusione o disinganno.

La delusione è una fase di svelamento, durante la quale si inizia a vedere l’altro per ciò che è nella sua interezza, con le sue fragilità e debolezze.

E’ fondamentale viversi la delusione per il superamento del desiderio di appagamento egoistico dei propri bisogni personali, che spesso è il fine principale in una relazione.

Se la relazione non va oltre il sentimento di bisogno e di necessità si può strutturare un legame di dipendenza, volto principalmente a riempire vuoti che ci si porta dentro dall’infanzia e per affermare sé stessi ed il proprio valore attraverso conferme e riconoscimento che provengono dall’altro.

Una coppia, i primi mesi, durante il corteggiamento, si incuriosisce dell’altro, lavora per sorprendere, per emozionare, per affascinare.

I ritmi dei primi tempi possono risultare accelerati, si può essere carichi di energie, si può tendere a tagliare il mondo fuori in una sorta di fusione con il partner, famelici di conoscersi e viversi profondamente.

Alla fusione, per lo sviluppo di una relazione sana, seguirà un allontanamento tale da consentire al mondo di ricircolare tra i due individui.

La coppia rallenterà i ritmi e troverà una routine che, se sfruttata bene, fornirà sicurezza e senso di protezione.

Uscire dalla fusione, dal “facciamo tutto insieme e stiamo sempre insieme, vicini vicini” è un passaggio fondamentale alla strutturazione di un “amore sano”, perché chi non può consentirsi di stare lontano forse non è realmente vicino.

 

“Se la nostra pelle è copertina di libro

Dopo aver ammirato titolo e fattura

Sfogliatelo famelici

Per averlo dentro anche se non è tra le mani”

 

Essere in relazione con l’altro vuol dire creare connessioni profonde che consentono non solo complicità, ma anche la capacità di conoscersi al punto tale da sapere come sostenersi.

Il sostegno reciproco nelle normali difficoltà quotidiane, la vicinanza empatica, la volontà di comunicare il proprio mondo interiore per fornire strumenti di comprensione all’altro, lo sforzo di costruire un mondo comune alle reciproche diversità e tanto altro ancora sono gli elementi fondamentali che alimentano un amore.

In terapia dico sempre che l’amore richiede tanto coraggio, in quanto è una perdita ….

Quando si ama si accetta di perdere il “controllo”, si è in due e si deve accettare anche di affidarsi, di fidarsi e di lasciarsi condurre, quando si ama si perdono parti di sé per andare incontro all’altro.

Perdere parti di sé non nell’accezione negativa del termine, bensì come processo indispensabile per cui si smette di essere esclusivamente un “io” ed un “te” per essere un “Noi”.

Il Noi è una terza entità che ha vita propria, fatta di un nuovo respiro, nuovo ritmi, nuovi equilibri e, come ogni neonato, ha necessità dei suoi tempi per imparare a crescere e camminare, a cadere e rialzarsi, ferirsi e scoprire che ci si può curare e guarire.

Il “Noi” non sempre nasce, in quanto l’imparare a camminare risulta faticoso e c’è la tendenza dei partner a lottare per tornare a “volare” come accadeva nei primi tempi della fase dell’innamoramento.

Ci si ritrova invischiati nella pericolosa illusione di poter cambiare l’altro, nella convinzione della necessità di ritornare allo stato fusionale iniziale in cui il partner appariva perfetto.

Le recriminazioni, gli scontenti, le minacce, le manipolazioni, i comportamenti ossessivi e persecutori potrebbero essere gli ingredienti che la coppia si trascina nel tempo alla ricerca di un amore impossibile ed immaturo, volto a colmare vuoti e dolori di un tempo passato che non esiste più.

Ed è così che ci si perde prima ancora di essersi veramente trovati, ci si impiglia nelle maglie della sfida, della lotta al potere, ci si infanga di tutto ciò che viene in eredità dal proprio sistema familiare, ci si ritrova a dipingere un quadro a quattro mani simile a quelli appesi nelle stanze della nostra infanzia che abbiamo così odiato.

Quando un paziente si accomoda, su quello che sarà il “nostro” divano, la prima cosa che mi chiede è di essere sua alleata/o e di aiutarla/o a cambiare il proprio partner, di trovare il modo di trascinare il partner in terapia per essere “aggiustato”.

L’altro è da aggiustare, modificare, cambiare perché così com’è non va bene, rende infelici, non capisce, non ci ama!

Incastrati in tale convinzione si è lacerati dal senso di impotenza e la vita diventa un incubo dal quale è possibile uscire con una parola: “corresponsabilità”.

La corresponsabilità apre un mondo di possibilità, un mondo in cui la relazione è fatta di un cinquanta e cinquanta ed io posso agire unicamente sul mio cinquanta.

Nella parola corresponsabilità si sposta il focus e, chi è seduto su quel divano, inizia a vedere finalmente se stesso.

Lentamente si interrompe la caccia alle streghe, alle pozioni magiche, si interrompono le cospirazioni e si rompe lo specchio delle mie brame, si comincia a riscoprire i bauli dei propri desideri, sogni, passioni, seppelliti troppo spesso lungo la strada della lotta al potere.

Quello che avviene nel paziente dopo “essersi visto” non ve lo racconterò, poiché ogni persona è un libro meravigliosamente unico e non vi è una storia uguale per tutti che possa essere raccontata.

Posso però scrivere che, vedere un uomo o una donna, un ragazzo o una ragazza, afferrare la propria clessidra  interrotta o bloccata è scuoterla o rigirala, piangere e ridere per la sabbia che riprende a fluire, è l’emozione per cui vale la pena … proprio come capita in amore!

 

Dott.ssa Elena Fattorusso

Psicologa & Psicoterapeuta Sistemico-Relazionale